Riportiamo un passo molto interessante del Prof. Stefano Zamagni, Professore ordinario di Economia Politica alla Facoltà di Economia dell’Università di Bologna e Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns Hopkins University, Bologna, tratto dal sito di FEDUF, Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio
La finanza è uno strumento con potenzialità formidabili per il corretto funzionamento dei sistemi economici. La buona finanza consente di aggregare risparmi per utilizzarli in modo efficiente e destinarli agli impieghi più redditizi; trasferisce nello spazio e nel tempo il valore delle attività; realizza meccanismi assicurativi che riducono l’esposizione ai rischi; consente l’incontro tra chi ha disponibilità economiche ma non idee produttive e chi, viceversa, ha idee produttive ma non disponibilità economiche. Senza questo incontro la creazione di valore economico di una comunità resterebbe allo stato potenziale.
Tuttavia, la finanza con cui oggi abbiamo a che fare è largamente sfuggita al nostro controllo. Gli intermediari finanziari spesso finanziano soltanto chi i soldi già li ha (disponendo di garanzie reali uguali o superiori alla somma di prestito richiesta). La stragrande maggioranza degli strumenti derivati virtualmente costruiti per realizzare benefici assicurativi sono invece comprati e venduti a brevissimo termine per moventi speculativi con il risultato paradossale di mettere a rischio la sopravvivenza delle istituzioni che li hanno in portafoglio. I sistemi di incentivo asimmetrici di managers e traders (partecipazione ai profitti con bonus e stock options e non penalizzazione in caso di perdite) sono costruiti in modo tale da spingere gli stessi ad assumere rischi eccessivi che rendono strutturalmente fragili e a rischio di fallimento le organizzazioni in cui lavorano. Un ulteriore elemento di pericolosa instabilità è dato dall’orientamento di queste organizzazioni ad un unico obiettivo, quello della massimizzazione dei profitti, un obiettivo che sopra-ordina gerarchicamente il benessere degli azionisti a quello di tutti gli altri portatori d’interesse. Banche massimizzatrici di profitto in presenza di incentivi distorti troveranno sempre più redditizio incanalare le risorse verso l’attività di trading speculativo o verso quelle con margini di rendimento maggiori di quella creditizia.
Non solo, ma si è tollerato che si diffondesse, tra la gente comune, il convincimento in base al quale la liquidità dei mercati finanziari sarebbe stata un sostituto perfetto della fiducia, oltre che dell’onestà e dell’integrità morale. Al tempo stesso, poiché la valutazione di borsa è tutto quanto l’investitore è tenuto a considerare quando deve prendere le sue decisioni, si ha che la crescita del reddito può agevolmente essere basata sul debito. Si è così stravolto il modo di concepire il nesso tra reddito da lavoro e reddito da attività speculativa. Se la finanziarizzazione viene spinta in avanti a sufficienza – si è fatto credere – non v’è bisogno che le famiglie attingano, per le proprie necessità, ai risparmi. Dedicandosi alla speculazione, esse possono ottenere per altra via il necessario. Anzi, se e nella misura in cui riduzioni salariali migliorano la redditività delle imprese quotate in borsa, può accadere che le famiglie più che compensino la riduzione dei redditi da lavoro con aumenti dei redditi da attività speculativa. La finanziarizzazione va così trasformando il risparmiatore tradizionale in speculatore, accorto o meno che sia.
Mai come nel caso dell’evoluzione della finanza negli ultimi decenni è stato così chiaro che i mercati, soprattutto laddove i rendimenti di scala sono crescenti e le economie di rete rilevanti, non tendono affatto spontaneamente alla concorrenza ma all’oligopolio. Invero, il graduale allentamento di regole e forme di controllo (come quella della separazione tra banca d’affari e banca commerciale) hanno progressivamente condotto alla creazione di un oligopolio di intermediari bancari troppo grandi per fallire e troppo complessi per essere regolati. Il sonno dei regolatori ha dunque prodotto un serio problema di equilibrio di poteri per il mantenimento della stessa democrazia. Il rapporto 2014 di Corporate Europeevidenzia lo squilibrio dei rapporti di forza tra le lobby finanziarie e quelle della società civile e delle NGO: la finanza spende in attività di lobby 30 volte di più di qualunque altro gruppo di pressione industriale (secondo stime prudenziali 123 milioni di euro l’anno con circa 1700 lobbisti presso l’UE). I rapporti tra rappresentanza delle lobby finanziarie e rappresentanza delle NGOs o dei sindacati in gruppi di consultazione sono 95 a 0 nello stakeholder group della BCE e 62 a 0 nel De Larosière Group on financial supervision in the European Union.
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