Durante il Convegno Invernale 2019 dell’Associazione dei docenti di Economia degli intermediari dei mercati finanziari e finanza d’impresa, avente ad oggetto la Finanza alla prova del Fintech, è intervenuto Carmelo Barbagallo, Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia, che ha focalizzato la sua relazione su alcuni profili significativi nella prospettiva dell’Autorità di Vigilanza, prospettiva entro la quale emerge con sempre maggiore evidenza l’esigenza di assicurare l’efficace presidio dei rischi senza scoraggiare l’innovazione e senza alterare, per quanto possibile,la tendenziale stabilità delle norme e, per tale via, la “certezza” delle regole.
Con il termine Fintech ci si riferisce a numerosi segmenti di attività (tra cui pagamenti e valute digitali, crowdfunding, prestiti peer to peer) oltre che a tecniche e strumenti eterogenei (tra gli altri, robot advisor, Big data, intelligenza artificiale). Si tratta pertanto di un tema assai complesso e in evoluzione, sul quale è difficile trarre una sintesi in grado di resistere nel tempo.
Gli sviluppi più rilevanti si osservano nel sistema dei pagamenti, ma si stanno estendendo rapidamente ad altri settori, in primis a quello del credito ma anche alla negoziazione di titoli, alla gestione dei rischi, al rispetto delle norme (Regtech).
Spesso i nuovi operatori riescono a sfruttare informazioni che i clienti forniscono loro gratuitamente, ottenendo un valore di gran lunga superiore a quello del servizio reso. Questo tema è da tempo all’attenzione del dibattito europeo e nazionale e conferma la rilevanza che, nell’economia digitale, assume la “profilatura” della clientela e la tutela dei dati personali.
A livello globale gli investimenti nel settore Fintech sono cresciuti in modo rilevante nella prima metà del 2018, con 57,9 miliardi di dollari per 875 operazioni, in aumento significativo rispetto ai 38,1 miliardi di dollari investiti in tutto il 2017. Anche in Europa si è registrata, nel 2018, una significativa crescita degli investimenti Fintech. Un’indagine conoscitiva della Banca d’Italia pubblicata nel 2018 ha posto in luce come gli intermediari nazionali siano impegnati in un numero non trascurabile di iniziative; il valore degli investimenti risulta tuttavia modesto, collocandosi su valori inferiori a quelli degli altri principali Paesi dell’Unione. In base a un’analisi condotta lo scorso anno da Abilab, oltre la metà delle banche italiane è impegnata nello sviluppo di progetti innovativi nel settore dei pagamenti; seguono i temi della sicurezza (oltre il 35% delle banche) e le piattaforme di investimento e prestito (oltre il 20%). In termini di tecnologie sperimentate, più di un terzo è attivo su Big data analytics, blockchain, Distributed Ledger Technology (DLT) e intelligenza artificiale; un quarto privilegia iniziative di cloud computing e di digitalizzazione di servizi tradizionali.
Recenti evidenze della Banca d’Italia segnalano che alcune banche “significative” stanno sviluppando progetti basati sull’identificazione biometrica; Big data e intelligenza artificiale sono altresì utilizzati per segmentare il mercato a fini commerciali, nel rilevamento di frodi, nell’analisi di minacce informatiche, nell’automazione dei processi, nelle applicazioni antiriciclaggio e per assolvere, più in generale, obblighi di compliance (Regtech).
Quest’ultimo profilo è in continuo sviluppo, in conseguenza, tra l’altro, del proliferare della produzione normativa che ha fatto seguito alle crisi finanziarie recenti. Il range di applicazioni del Regtech è molto ampio: policy, gestione degli aggiornamenti normativi, reportistica, elaborazione e sfruttamento delle informazioni aziendali. L’aspetto più qualificante riguarda la tendenza a utilizzare l’innovazione non più solo in una logica passiva di rispetto delle regole ma in una prospettiva attiva di sfruttamento dell’impalcatura normativa per sviluppare capacità competitiva, specie attraverso l’aumento di efficienza dell’infrastruttura organizzativa.
Grande attenzione è dedicata dall’industria bancaria anche alla Distributed Ledger Technology (DLT), tecnologia che consente di puntare su dati “distribuiti”, che prescindono da un unico soggetto “centralizzatore” e che comporta vantaggi in termini di trasparenza e accessibilità delle informazioni, capacità di controllo, velocità di esecuzione delle operazioni.
Il ricorso alle tecnologie, anche le più avanzate, non è in grado da solo di garantire la riconversione digitale dei business model delle aziende tradizionali; è necessaria anche la disponibilità di “talenti digitali”. Consapevoli di ciò, gli intermediari bancari stanno reagendo in due direzioni: da un lato, cresce l’investimento in piani di formazione; dall’altro, aumenta lo sforzo di reperire nuovi talenti.
Lo scenario di mercato descritto – caratterizzato da pulsioni innovative non seguite da investimenti digitali sufficienti – sta per essere sottoposto a uno shock senza precedenti a seguito dell’attuazione della Payment Services Directive 2 (PSD2 – 2015/2366), che ha dato piena cittadinanza giuridica in Europa a modelli di “open banking”, basati sulla condivisione di dati bancari tra i diversi operatori dell’ecosistema finanziario. Con l’obiettivo di evitare rischi di frammentazione della componente più innovativa dei servizi e migliorare la competizione tra soggetti finanziari nuovi e tradizionali, la PSD2 ha infatti per la prima volta aperto i conti bancari all’accesso di non banche. L’idea di base è che l’elemento di maggior valore della filiera produttiva sia costituto dai “dati”: la capacità di leggerli in modo orizzontale diventa il vero valore aggiunto dell’economia digitale; il “sistema dei conti di pagamento” assurge esso stesso al ruolo di “infrastruttura essenziale” sui generis, con rilevanti impatti sul sistema di relazioni che lega gli operatori.
I benefici apportati dall’innovazione tecnologica e i cambiamenti che incidono sulle abitudini dei consumatori e sulla competitività del sistema bancario vanno come ovvio soppesati assieme ai rischi che le nuove tecnologie comportano.
La regolamentazione bancaria e finanziaria, oramai di emanazione prevalentemente internazionale, non sempre si adatta al contesto di rapido cambiamento indotto dal fenomeno Fintech. Le Autorità di vigilanza hanno un compito complesso: da un lato, devono continuare a preservare la sicurezza e la solidità del sistema finanziario; dall’altro, devono adottare la necessaria flessibilità nella “manutenzione” della regolamentazione secondaria e nell’applicazione di essa e della normativa primaria, concepite in un mondo non ancora digitale. In questo contesto, è necessario assicurare la certezza delle regole – e, con essa, l’equilibrio competitivo – garantendo che a parità di attività corrisponda un medesimo trattamento normativo.
In Europa la diffusione dell’innovazione finanziaria sta trovando ampio supporto politico. In tale ottica si è mossa anche l’Autorità Bancaria Europea (EBA), che – su impulso della Commissione Europea – ha dato il via alla “Roadmap Fintech”, che definisce le priorità Fintech per il 2018/2019. Esse vanno dal monitoraggio del perimetro normativo applicabile, dei trend emergenti e dell’impatto sui modelli di business delle entità vigilate, alla promozione delle migliori pratiche di vigilanza, affrontando anche temi legati alla tutela dei consumatori.
Nelle sedi di coordinamento internazionale, la Banca d’Italia ha segnalato come l’aumento degli operatori che offrono servizi innovativi in un contesto normativo non ancora delineato e in continua evoluzione possa generare fenomeni di competition in laxity. Anche in ragione di ciò, la PSD2 ha potenziato i meccanismi di coordinamento tra le diverse Autorità nazionali.
In estrema sintesi, le autorità preposte alla regolamentazione e alla supervisione hanno maturato la consapevolezza di dover disporre di conoscenze costantemente aggiornate e approfondite sulle evoluzioni in atto. Non intendono ostacolare gli sviluppi in corso, ma avvertono l’esigenza di presidiare efficacemente i rischi che ne potrebbero derivare; registrano in taluni casi l’inadeguatezza della regolamentazione prudenziale e ravvisano la necessità di graduare l’intensità delle regole in base ai rischi connessi a ciascuna forma di innovazione finanziaria.
L’impatto delle tecnologie digitali si estende naturalmente anche all’attività di supervisione (il cosiddetto “Suptech”): l’ampia disponibilità di dati, le nuove tecniche di analisi e di intelligenza artificiale offrono nuove opportunità per migliorare l’azione di vigilanza. I Big data sono sempre più percepiti dalle Banche centrali come uno strumento efficace per sostenere le analisi macroeconomiche e di stabilità finanziaria: si osserva un uso crescente degli stessi per migliorare le previsioni economiche, le analisi del ciclo economico-finanziario e le valutazioni di stabilità finanziaria. La disponibilità di dati analitici e disaggregati consente di accogliere le istanze manifestate dagli intermediari di riduzione degli obblighi segnaletici. Il progetto European Reporting Framework della BCE, fortemente voluto dalla Banca d’Italia, renderà possibile ricostruire i fenomeni aggregati (gli impieghi, la raccolta, ecc.) utilizzando dati granulari, raccolti sulla base di definizioni comuni a livello europeo. Ciò permetterà di limitare le duplicazioni tra segnalazioni statistiche e prudenziali.
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